1. 4 ETF...per sempre!

    AvatarBy Mirco Bolognese il 11 July 2014
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    Il concetto di diversificazione di portafoglio è presupposto ben noto e, spesso, largamente abusato. Soprattutto nel controllo della volatilità del portafoglio, dove la coesistenza di strumenti tra loro correlati negativamente implica una più efficiente gestione del rischio complessivo, non vi è infatti dubbio riguardo al fatto che anche un basso livello di diversificazione comparti innegabili vantaggi. Tuttavia l’eccessiva diversificazione non è quasi mai da apprezzare e rischia anzi di frammentare così tanto il portafoglio, da render nulla la profittabilità degli assets prescelti; non è conveniente nemmeno a livello di costi di gestione, poiché vi sono più operazioni di compravendita, ognuna implicante una spesa; ma soprattutto, non è vantaggioso per la consistenza dei posizionamenti: operando con gli ETF, infatti, è sempre necessario tenere a mante che gli Exchange Traded Funds possono essere già di per loro considerati alla stregua di mini-portafogli, forniti dunque di una diversificazione di base.

Portafoglio 

Tale concetto è così vero, da essere confermato da una strategia apparentemente semplicistica: ottenere la massima diversificazione di portafoglio utilizzando solo 4 ETF. 
Passando dunque al caso concreto, si prendano ad esempio 4 strumenti trattati su borsa italiana (rispetto ad alternative possibili):

    1: ETF (www.trend-online.com/portafoglio-etf.html) Lyxor all country (ticker: ACWI): un ETF che ha in paniere 2450 società di 45 paesi..
    2: Ishares Emerging market bond (SEML) : 260 obbligazioni governative di 15 paesi emergenti
    3: Ishares euro aggregate bonds (IEAG) : 2000 partecipazioni obbligazionarie governative eurozona
    4: ETF commodities CRB: un ETC che ha come sottostante 15 materie prime (escl. Energia)

Con tale paniere composto da 4 ETF, negoziabili come una normale azione, si ha una copertura praticamente completa dei principali asset finanziari, con la possibilità di sovrappesare o sottopesare le componenti riferendosi ai grafici di lungo periodo. Si avrebbe, in aggiunta a ciò, una composizione base suddivisa al 50% in obbligazioni, 25% in azioni e 25% in materie prime, che rappresenta l’asset allocation “standard” per un investimento bilanciato di medio rischio. 
Tale portafoglio, pur non fruttando grandi rendimenti, ha il vantaggio di tenere anche nei momenti di forti ribassi dei mercati, contrastando l’eccessiva volatilità. 
Per tale ragione il nucleo centrale di quest’ultimo può essere tenuto come base stabile di partenza per la costruzione di altri portafogli, da incrementare eventualmente con temi di periodo, alla ricerca di extra opportunità specifiche nell’azionario di singoli Paesi o nelle singole materie prime.
    Last Post by Mirco Bolognese il 11 July 2014
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  2. IL DOLLARO BLU

    AvatarBy Mirco Bolognese il 8 Nov. 2013
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    Si tratta di una questione particolare che esula dal tipico colore del biglietto verde per eccellenza, il dollaro statunitense. Data la politica di protezionismo dei paesi sudamericani, spesso le popolazioni locali sono costrette, gioco forza, a procurarsi valuta statunitense in modi non particolarmente ortodossi. Un esempio è l’Argentina. Il pesos che in realtà non ha valore al di fuori dei confini nazionali ha distrutto anche la forza dei risparmi e degli investimenti delle persone. Da qui lo smercio di dollari a un tasso di cambio superiore a quello attuale della Banca Centrale anche del 30%.

    Una pratica che permette di avere capitale più stabile, un dollaro sempre disponibile (pagando adeguatamente il rischio) ed eludere i controlli ufficiali, davanti ai quali scatterebbero le già citate misure protezionistiche. Intanto i vertici politici di Buenos Aires devono combattere con un’inflazione galoppante e difficilmente qualificabile, cosa che li ha portati ad adottare addirittura misure repressive per chi osasse rendere note le cifre ufficiali e contestare le politiche economiche del Paese.
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  3. QUANDO UNICREDIT DIVENTA UNICREDIT

    AvatarBy Mirco Bolognese il 19 July 2013
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    LA gestione di Unicredit da parte dell’amministratore delegato Alessandro Profumo è forse il periodo più contrastato per il gruppo che stava avviandosi verso una modifica definitiva che avrebbe poi portato alla nascita di quello che oggi noi tutti chiamiamo Unicredit. Capitalia, già precedentemente arrivata alla nascita in unione con Bipop Carire, sarà inglobata in Unicredito italiano, il prodotto ottenuto dalla fusione tra Credito Italiano, Cariverona, Cassa di risparmio di Torino cui si aggiunsero successivamente anche la Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto e la Cassa di Risparmio di Trieste. La galassia si stava agglomerando intorno a un fulcro centrale e il passaggio più delicato si stava avvicinando. Era il 2007, per la precisione maggio e mentre l’Italia era assorbita dallo scandalo Cirio e dal crollo dei loro bond, Profumo portava a termine la nascita di Unicredit la cui caratteristica principale era l’estrema capillarità della rete, una radicalizzazione sul territorio che portò con sè nel tempo anche la forza del gruppo. Purtroppo con l’avvento della crisi, nel 2008 poco dopo quindi la sua nascita, Unicredit vide la necessità di una razionalizzazione estrema proprio di quegli sportelli che erano il suo punto di forza, anche perchè si stava diffondendo, allora già famoso, l’home banking ovvero la possibilità di gestire il proprio conto corrente da PC e, adesso anche da smartphone. Quella che era stata la forza del gruppo, rischiava di tramutarsi in una inutile zavorra e per questo motivo si fu costretti a tagliare sui dipendenti. Era iniziata la grande crisi economica, la stessa che ancora oggi stiamo scontando.
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  4. Ottime occasioni tra gli emergenti dell'est

    AvatarBy Mirco Bolognese il 2 June 2013
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    Dopo lo shock di Cipro ci si interroga su chi ne risentirà ad est. I motivi sono diversi. Prima di tutto la zona dell’est europeo è rimasta la fucina che è riuscita, grazie a una popolazione giovane e a una esistenza alle difficoltà economiche temprata da anni di dittatura sovietica ad ammortizzare i lati negativi di una crisi. In secondo luogo, la Russia, protagonista insieme al resto dei Brics (Brasile India, Cina e Sudafrica) di una ripresa incredibile nell’ultimo ventennio, è stata la diretta protagonista della crisi di Nicosia, prima e dopo le decisioni della Bce.

    Logico pensare che i timori su una serie di conseguenze possano arrivare anche per Mosca. Ma gli economisti non si sono fatti spaventare dall’impatto che se per Cipro, economia piccolissima, potrebbe essere devastante, come lo potrebbe essere anche per il Vecchio Continente, ormai perennemente convalescente, non lo sarà per Mosca, nonostante le lamentele dei numerosi oligarchi russi, alcuni dei quali anche intenzionati a chiedere un risarcimento danno contro quello che inizialmente hanno considerato un vero e proprio esproprio (curioso, vista la loro antica origine comunista).

    Ad ogni modo non sembra che Mosca subirà una grave perdita anche perchè potrà contare su una competitività sul mercato finanziario anche superiore a quella dei suoi compagni nel club degli emergenti (per quanto considerare ancora Pechino o Mosca come degli emergenti suoni un po’ obsoleto). Questo grazie al fatto che resta la più economica tra i mercati europei, secondo gli esperti di East Capital, specializzata appunto nel panorama dell’ex impero sovietico. Ma il suo vantaggio è palese anche tra gli altri emergenti, con un P/e, di 5,2 su uno storico di 8. Non solo, ma anche il mercato interno, a differenza di quanto siamo abituati a credere, forse retaggio delle cronache passate, è molto vivace. con un +80% del Pil dovuto ai consumi interni che negli ultimi 10 anni hanno fatto registrare un aumento vertiginoso.

    Una forza che si basa, al di là degli energetici, proprio ul fronte interno, favorito da un debito minimo e da una pressione fiscale estremamente bassa (non oltre il 13%), contrapposti a salari in aumento, anche per compensare le azioni messe in atto subito dopo la crisi del 2008 (taglio degli stipendi e svalutazione) , che hanno permesso una notevole accelerazione, favorita ancora, a sua volta, da una particolare “resistenza” della popolazione ad assorbire, come accennato sopra, l’urto della crisi sia politica che economica. PEr questi motivi, sempre da East Capital, arrivano suggerimenti specifici per chi voglia testare il mercato russo. Nel caso dei bancari, Mosca può vantare la Sberbank, che con il 42% di utile netto del settore, è tra le realtà più vivaci del panorama economico.

    Una particolarità interessante visto che proprio sui bancari il compa...

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    Last Post by Mirco Bolognese il 2 June 2013
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  5. Europa chiusa nele sue paure

    AvatarBy Mirco Bolognese il 2 June 2013
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    Perchè spesso si è contrari all’austerità? Semplice: brucia le possibilità di crescita. Eppure, i conti pubblici, nel 90% dei casi non possono certo essere lasciati così. Allora, come risolvere la diatriba?
    Prima di tutto è bene stabilire che effettuare misure di austerity non è un peccato contro la religione, anzi, spesso sono veramente una ricetta sana per riuscire a frenare gli sprechi e soprattutto per risanare realmente i conti pubblici. Ma, naturalmente, è bene che, come ogni medicina, sia assunta da un organismo che può reggere eventuali effetti collaterali e, soprattutto, alle giuste dosi. Partiamo dal primo punto.
    A suo tempo Paul Krugman premio Nobel per l’economia, ha fatto giustamente notare che il Canada degli anni ’90 è spesso preso ad esempio quale campione di efficienza della stretta sulla spesa pubblica e dell'aumento delle tasse. In effetti il ragionamento è giusto, nel senso che la base di partenza è veritiera. Ma lo stesso economista fa notare, altrettanto giustamente, che l’esempio è falsato poi nella sua dimostrazione. A quel tempo il Canada potè sfruttare altri valori compensativi Prima di tutto l boom economico degli Usa sotto la presidenza Clinton, cosa che attualmente on si può certo considerare. L’economia Usa di oggi, infatti, se al confronto di quella europa sembra essere in gran forma, soprattutto vedendo l’andamento di Wall Street, se paragonata a ciò che era solo pochi anni fa, rimane una versione anemica di un’appoggio non certo salubre e meno che mai compensativo per una crescita mondiale a dir poco stentata.
    Non solo, ma allora, Ottawa potè compensare la stretta sulla spesa pubblica con una svalutazione della moneta e gli introiti benefici dell’aumento dell’export. In un certo senso un gioco di contrappesi che altre volte è riuscito anche in Italia, quando è stato possibile agire sulla lira. Data l’impossibilità di toccare l’euro e visti i suoi valori piuttosto forti nell’ambito di una politica monetaria tendenzialmente svalutativa l’impresa è a dir poco ardua.
    L’effetto delle contrazioni economiche date da tagli alla spesa e aumento delle tasse non è compensata da nessun elemento positivo nè interno, come appunto un export favorevole, nè esterno. Anzi, l’Europa, come anche l’Italia soltanto, non hanno “vicini di casa” che possono sfruttare un boom economico. E ancora, la guerra valutaria, inesistente nelle ufficialità delle dichiarazioni ma di fatto ben più avanti di quanto si creda, pone nuovi ostacoli per riuscire a sfruttare una debolezza interna della moneta unica.
    Perchè allora continuare? Difficile dirlo, anche perchè gli Usa e l’Europa nascono su basi differenti, come anche la Fed e la Bce. La prima può e deve occuparsi anche della protezione dell’ambito lavorativo, cosa che sta facendo da tempo visto che il suo Quantitative easing nasce e si sviluppa (in modo anche pericoloso) con l’intento di...

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    Last Post by Mirco Bolognese il 2 June 2013
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  6. Crisi - Inghilterra Italia 1-0

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    Parrebbe proprio che la Gran Bretagna ci abbia battuti. Non si tratta ovviamente di una partita di calcio, sport nazionale per entrambe le realtà e di cui entrambe rivendicano la paternità, ma per quanto riguarda la crisi economica. Nello specifico sui provvedimenti presi per combatterla.
    Ben lontana dall’idea di entrare nell’euro, memore di quanto la da poco scomparsa Margaret Thatcher profetizzò oltre 20 anni fa, Cameron si è detto felice di quanto finora fatto per l’economia dell’isola e soprattutto nell’ambito del settore privato.
    Naturalmente, a prescindere dalla verità o meno di quanto da lui affermato, c’è da sottolineare che Londra non ha da tempo problemi di scissioni politiche interne e può contare su un governo stabile, se non addirittura efficace e coeso. Almeno contro l’Ue. Recentemente, infatti, proprio il primo ministro inglese ha ribadito la sua intenzione non solo di non entrare nella moneta unica ma anche di sottoporre la permanenza dell’Inghilterra all’interno dei 27 Paesi dell’Unione Europea, a un referendum popolare, sull’onda di un crescente dissenso circa gli aumenti delle quote che ogni paese dovrà versare, in parallelo con un piano economico che delude tutti, Londra per prima.
    E allora, mentre Cameron in tre anni è riuscito a creare un milione di posti di lavoro, cosa ampiamente facilitata anche dalla presenza di una serie di sgravi fiscali per le società e una situazione socio economica ben più leggera di quella italiana, Roma ha dovuto scontrarsi con una perdita di competitività, di posti di lavoro (1 milione di licenziamenti nel solo 2012 cui si devono aggiungere anche 3 milioni di disoccupati, 2 di cassintegrati,2,8 di scoraggiati ) e di perdita di potere d’acquisto sugli stipendi.
    Paragonando altre cifre, si passa, sempre per Roma, da un livello di disoccupazione che nel 2008 toccava l‘8,5%, mentre nel 2012 è arrivato al 12%, 4% in più, pari a un punto percentuale all’anno.
    Partendo da queste basi, l’Italia si trova in bilico tra due possibilità: la ripresa (difficilmente attuabile partendo da cause endogene) e il crollo, soprattutto se si considera che il mercato dei titoli di stato potrebbe registrare una debacle da un momento all’altro perchè tropo esposto all’umore e alla volatilità dei mercati.
    Roma sconta anche una grave pecca: la mancanza di investimenti nella ricerca e nella innovazione cosa che porterebbe con se anche sia lavoro per le generazioni di laureati che eviterebbero di dover emigrare all’estero, sia nuovi investimenti per le zone economicamente depresse . Zone che non si esauriscono solo al sud della penisola, ma vedono anche, purtroppo, la crisi in quel triveneto che una volta era la locomotiva economica d’Italia ed esempio di miracolo economico.
    Purtroppo sono state anche le prime a cadere sotto il peso delle imposte che lo stato ha fatto garavare...

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    Last Post by Mirco Bolognese il 28 April 2013
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